Nel 1975 Connors inaugura una stagione magistrale vincendo dodici dei tredici tornei cui prende parte. Tra questi vi è il successo a Dorado: un giorno che passerà alla storia per la racchetta “clava” di Jimmy
Prima dell’avvento di André Agassi (di cui si dirà convinto estimatore) e di Novak Djokovic, la risposta al servizio nel tennis conobbe un solo nome, quello di Jimmy Connors. La facilità con cui il giocatore di East River riuscirà in quasi 19 anni di carriera a leggere in anticipo il servizio dei suoi avversari diventerà una bandiera per chi farà del tennis classico tutto potenza e anticipo il suo vero credo. Solidissimo su due gambe che assomigliano a due veri baobab, mulina l’attrezzo a due mani come se fosse una mazza da baseball e viene a rete per chiudere colpi elementari: ci ha già pensato la sua fenomenale ribattuta a creare scompiglio. Un tennis dall’ impronta prettamente femminile, tanto è vero che furono la nonna e la madre le precettrici sportive di Jimbo. Ma in pochi sanno che la storia tennistica – o dovremmo dire leggenda, Connors é ancora il detentore di vittorie in tornei di singolare con ben 109, inseguito da presso da Roger Federer con 103 – del tennista americano non ha avvio da una finale di Slam bensì da un epico incontro disputato a Dorado, in Florida, nel 1975.
Dall’ altra parte del campo c’è Vitas Gerulaitis. Simpatia ed estro al potere, gran chioma bionda, amante incallito delle automobili Cadillac e delle belle donne (non si conteranno e tra queste il nome più gettonato fu quello di Jessica Lange, la protagonista del King Kong cinematografico), Vitas é l’alter ego di Jimbo ed arriva alla finale del torneo reduce da dodici successi. Nonostante in due anni i due si siano incontrati ben undici volte, con altrettante vittorie di Connors, questa volta Gerulaitis è favorito. E tra le sue vittime c’è stato anche Arthur Ashe, un gran brutto cliente sul veloce. Si parte e lo stile di gioco classico, con splendida apertura e tocco essenziale dell’Americano di origine greca spiazza Connors. Il servizio funziona poco, in attacco ci si proietta poco e male. Sul 3 pari, Jimbo si fa infilare dal dritto chirurgico di Vitas che si invola sin sul 5-3 e 40-15 sul proprio servizio. “Iniziai a vedere il mio avversario entrare mezzo metro in campo a ogni turno di battuta – ricorda Gerulaitis.. Era un uomo solo ma come se fossero per incanto divenuti tre. Persi banalmente due contrasti a rete, e sul 5-4 Connors si scatenò”. Difatti succede proprio quello che non ti aspetti. Jimbo disegna traccianti di rovescio come se fossero le frecce incendiarie di un attacco degli Apaches, murando a ripetizione il biondo Vitas che dal vantaggio acquisito va a crollare 7-5. Il secondo set trova Gerulaitis pronto a piazzare un break perentorio esibendosi in due splendide soluzioni al volo, Jimbo con la sua clava non ci sta e opera il controsorpasso, ci si supera spalla a spalla sino al nono game, e di nuovo il servizio tradisce Jimmy sul più bello. 6-4 Gerulaitis, si va al terzo che per il povero Vity sarà una memoranda lezione. Secco cappotto, 6-0, e Connors che può iniziare la sua inarrestabile ascesa verso il numero uno del mondo, il giorno dell’ Eldorado in tutti i sensi.
Qualche anno dopo, nel gennaio 1980 per la precisione, Vitas potrà prendersi una bella rivincita ai Masters, in palio c’è un solo posto per la finale con il solito Bjorn Borg. Il match risulta equilibrato solo nel primo set, Gerulaitis se lo porta a casa 7-5 6-2 e vola a affrontare l’ IceBorg, dal quale perderà per l’ennesima volta. Ma almeno il ghiaccio è rotto e a fine partita vi è anche un abbraccio (freddino) tra i due. Stavolta partita poco leggendaria ma storica frase di Vitas: “Nessuno batte Gerulaitis per 12 volte di seguito”. Nemmeno Jimbo, il profeta della risposta al servizio.
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