Uno dei capolavori del genio di Stanley Kubrick
Dodicesimo e penultimo lungometraggio diretto da Stanley Kubrick, Full Metal Jacket riporta a uno dei temi portanti della filosofia del regista statunitense, la guerra intesa non come atto bellico tra Stati ma come immersione del singolo nella dialettica fra realtà ed elemento allucinatorio. Il Vietnam-movie kubrickiano schiva tutti i cliché del genere e allo stesso tempo si tiene alla larga da qualsiasi riflessione di stampo morale o strettamente politico. Un viaggio che parte dal documento del campo di addestramento (che contiene riflessi del Wiseman di Basic Training) e arriva all’onirismo delle truppe che cantano la Marcia di Topolino.
Con lui ammazziamo e con questo chiaviam!
Campo di addestramento dei Marines di Parris Island, Carolina del Sud, 1967. Un plotone di giovani coscritti si arruola per prepararsi alla guerra del Vietnam e viene affidato alle cure del Sergente maggiore Hartman, un uomo duro, burbero, crudele e spietato. Per fare in modo che i giovani soldati si trasformino in perfetti strumenti di morte, Hartman li sottopone ad un durissimo addestramento fisico, nonché a insulti mortificanti e soprannomi ignobili. Quegli stessi soldati affronteranno poi l’inferno vietnamita.
Fra tutti gli elementi della narrazione che trovano all’interno della filmografia di Stanley Kubrick un richiamo, un rimando ripetuto e reiterato, la guerra (e la sua rappresentazione) assume un ruolo centrale. Dopotutto già il suo esordio, quel Paura e desiderio che fino a un decennio or sono risultava pressoché invisibile – rimosso per stessa volontà del regista, che lo aveva disconosciuto – mette in scena un plotone di soldati in terra nemica. Se la riflessione sul conflitto bellico troverà il suo punto di non ritorno dapprima nell’afflato disilluso ma utopico del giovanile Orizzonti di gloria e poi nell’epica disillusa e priva di utopia del maturo Full Metal Jacket, l’animosità bellicosa emerge con forza tanto in Spartacus quanto in Lolita, mentre la basica nozione di guerra, intesa nella sua forma primigenia (la contrapposizione anche fisica all’altro, la materializzazione del duello) è il filo rosso che attraversa quasi tutte le regie di Kubrick.