Tra il XIV e Xv secolo una donna denuncia la violenza subita tramite un suo capolavoro.
Nel suo Giuditta e Oloferne conservato al Museo di Capodimonte (NA), la pittrice Artemisia Gentileschi, vissuta tra il XIV e XV Secolo, inserisce tutta la rabbia di una donna che ha subito una grandissima violenza. Presa con la forza da un amico di suo padre, il pittore Agostino Tassi, la donna fu infatti ingannata con la promessa di un matrimonio riparatore, mai avvenuto. Decise così di denunciare il suo aggressore, venendo però umiliata in tribunale, oltre che torturata affinché la sua confessione fosse sincera. Davanti ai giudici raccontò tutto ciò che era accaduto, e nonostante questo il pittore Tassi la fece franca. Ad Artemisia rimase soltanto la pittura come mezzo per esprimere i suoi sentimenti e la sua situazione, anche se la sua sfortuna oggi è una fortuna per i nostri occhi, come nel caso di questo capolavoro immortale.