Mostra i segni di un intervento chirurgico
Una sorta di ‘cold case’ archeologico è al vaglio di un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna, dopo il ritrovamento di un cranio umano di oltre 5.000 anni fa, ritrovato isolato in una grotta del Parco dei Gessi, a San Lazzaro di Savena, vicino a Bologna, in cima ad un pozzo verticale alto 12 metri che non comunica con l’esterno. Risalente all’Età del Rame e datato a più di 5.000 anni fa, è stato ritrovato a 26 metri sotto il livello del suolo.
A chi apparteneva? Come ha fatto ad arrivare fin lì? E cosa significano quei tagli che si vedono in diversi punti del reperto? Queste le domande alle quali gli studiosi hanno cercato delle risposte, con un articolato studio multidisciplinare. I risultati – pubblicati sulla rivista PLOS ONE – offrono qualche risposta. La protagonista è una giovane donna, tra i 24 e i 35 anni, vissuta nell’Età del Rame (Eneolitico), il cui cadavere doveva essere stato manipolato con operazioni di pulizia dei tessuti molli, forse nell’ambito di un rituale funerario. Il corpo doveva trovarsi sul bordo di una dolina: da lì il cranio, spinto dall’acqua e dal fango, deve essere rotolato all’interno della grotta, fino al punto e in cui è stato ritrovato.