Il 7 novembre 2014 veniva pubblicato dai Pink Floyd.
The Endless River nasce dal materiale mai pubblicato dell’era di The Division Bell: quasi tutte le composizioni, originariamente concepite per un album che avrebbe dovuto portare il nome di The Big Spliff, fanno migrare il classico sound floydiano su altri lidi, percorrendo l’infinito fiume della loro carriera. Il platter offre un mosaico autocelebrativo, con numerosi richiami all’intera discografia del monicker britannico. Per quanto sul momento la notizia dell’assenza di voci mi abbia leggermente disorientato, si ritrovano tanti punti di collegamento: abbiamo di fronte a noi dei Pink Floyd che tornano a una maniera di suonare più meditativa e vicina alle origini come approccio. Sia chiaro che il disco preso in analisi non ha analogie con i lavori dell’era di The Piper at the Gates of Dawn, tuttavia c’è una nuova propensione allo strumentale, da un punto di vista non solo emotivo, ma anche sensoriale. Non vi è ovviamente psichedelia, ma ritorna in parte quell’impressione di “viaggio” che tanto ha reso noto il gruppo. Il disco ambient che avrebbe dovuto vedere la luce proprio nel 1994 insieme al suo predecessore, mette così in risalto un altro volto del gruppo, quello che sono diventati e che hanno consolidato fra loro dopo la separazione con Roger Waters. La prima impressione infatti che passa donando il primo ascolto al disco è la forza di quel legame incredibile che tiene uniti Gilmour, Wright e Mason, facendo risaltare quell’alchimia formata dalla loro vena creativa e dal loro sound estremamente personale. Le sessioni registrate tra il 1993 e il 1994 furono sotto la cura dello storico produttore Bob Ezrin e del chitarrista inglese, in un setup solido e sicuro, mentre la nuova produzione vede al posto del primo i brillanti Phil Manzanera, Youth ed Andy Jackson. Inutile parlare della pulizia del suono e della precisione con il tutto sia stato reso in maniera ottimale, aggiungendo qui e lì delle tracce di chitarra o di batteria, che si sono integrate perfettamente con le registrazioni di vent’anni fa. Ricomporre quindi così tanto materiale, frammentato e di vecchia data non era facile: dietro The Endless River, il cui nome è tratto dal penultimo verso di High Hopes, vi è quindi un lavoro lungo e minuzioso che lascia grandi aspettative o, per meglio dire, grandi speranze.