Un dipinto, cominciando dalla copertina
I Supertramp sono uno dei “casi” più strani della storia del rock. Nati in Inghilterra grazie ai fondi di un miliardario olandese, hanno vissuto per dieci anni nel semi-anonimato fino a quella colazione in America che li avrebbe sfamati per sempre, proiettandoli nelle classifiche dei dischi più venduti di tutti i tempi. Per tutti sono un enigma: una band che quasi per caso è entrata nel museo delle glorie del rock e ne è uscita in punta di piedi. La carriera dei Supertramp potrebbe essere presa e rimossa dalla storia del rock e non cambierebbe alcunché: pochissimi gli anelli di congiunzione con i gruppi che l’hanno preceduta, praticamente nessuno con i successori. Gli appassionati di musica e non di statistica, però, si perderebbero un vagone di melodie e di ritornelli immortali, di quelli che semplicemente fanno bene al cuore, punto e basta.
Non è solo una band easy listening: i loro dischi più ispirati, infatti, hanno svelato la fantasia e la versatilità di un ensemble di musicisti coi fiocchi, in grado di passare con disinvoltura da refrain spensierati a complesse suite strumentali, quasi opere rock in miniatura, degne di band ben più celebrate di loro. Questi artigiani inglesi hanno aperto nuove porte al pop-rock degli anni 70, partorendo uno stile inconfondibile e inimitabile, tanto che nessuno, infatti, ha mai cercato di riprodurlo, contribuendo, forse, a renderlo oggi un po’ retrò e indissolubilmente legato ad un’epoca precisa.
Even in the quietest moments è il quinto album della band “progressive” dei Supertramp, uscito nell’aprile del 1977. Il titolo e la copertina sono influenzati dalle esperienze ascetiche avute da Hodgson durante un viaggio in India, in particolare l’incontro con il santone Babaji che dà il titolo ad una delle canzoni. Questo disco è l’ultima esperienza “progressive” prima che il gruppo si orienti verso rock pop art che molti amanti della musica hanno ritenuto eccessiva. A parer mio, i Supertramp hanno un animo grande, così grande da ospitare rock, progressive, pop, jazz che hanno saputo esternare in momenti diversi della loro vita di artisti. Non parlerei di evoluzione, e nemmeno di involuzione, ma di un animo ballerino a cui non piaceva essere inscatolato in un genere preciso, perchè mutevole e profondamente ispirato. Nell’album che stiamo analizzando il progressive è debordante, cristallino, quasi un elegante manifesto di una musica rivoluzionaria e filosofica. E’ permeato di tanti timbri puri ed acustici: sovraincisioni di chitarre acustiche, assoli di pianoforte, fino ad arrivare all’orchestra sinfonica di “Fool’s Overture”, un capolavoro della cultura musicale progressiva, una pacata e meritata esaltazione di se stessa.
Le tracce:
- Give a little bit – 4:08 (voce: Hodgson)
- Lover Boy – 6:49 (voce: Davies)
- Even in the quietest moments – 6:26 (voce: Hodgson)
- Downstream – 4:00 (voce: Davies)
- Babaji – 4:50 (voce: Hodgson)
- From now on – 6:18 (voce: Davies)
- Fool’s Overture – 10:52 (voce: Hodgson)
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