L’amore per l’incantevole Venezia genera un capolavoro
I Pendragon sono figli della morte apparente del progressive che tra gli anni ’60/’70 arricchì la conoscenza musicale di una moltitudine di persone e tra i gruppi di riferimento della nuova ondata “new prog” che prese coraggio agli inizi degli anni ’80. Consolidarono la propria posizione privilegiata cavalcando l’onda del tempo anche nel decennio successivo fabbricando dischi di buona qualità come The World e The Window of Life, ma soprattutto The Masquerade Overture (quinto lavoro della band inglese uscito nel 1996), cercando anche di sopravvivere con fatica alle nuove mode. Stavolta i Pendragon si sono superati davvero e lo hanno fatto con un monumento musicale che enfatizza non solo l’introspezione dei testi ma anche delle composizioni, nelle quali chitarre e tastiere giocano un ruolo dominante, riprendendo anche il filone lasciato in eredità dai Genesis e dai Pink Floyd senza creare scandalo. Il sound della band sembra far viaggiare pur restando fermi.
La continua lotta tra bene e male è alla base di questo album che, anche se in maniera non così evidente, può essere definito concept. Il sognatore “mascherato” di questo capitolo, Nick Barrett, nonché voce (non proprio tra le più belle del panorama) e chitarra (tra le migliori del panorama), ci lascia fare un tuffo nel suo animo e nel suo amore per la “serenissima”, Venezia, la città immortale ripresa nel suo significato più nascosto.
Si parte con la maestosità dell’intro corale che riprende il titolo del disco ed il suo stentato italiano che si comprende a malapena. Dopo è tutta meraviglia. As Good as Gold, brano che diventerà presto un cavallo di battaglia del gruppo nelle esibizioni dal vivo, è pregiato quanto l’oro se non di più; un pezzo che parte titubante per poi esaltarsi ed esaltarci in ogni aspetto con un ritornello sentito ma sereno ed incredibilmente magico. Potremmo già fermarci nell’ascolto ed essere soddisfatti, ma la bellezza ha mostrato solo un lato del suo aspetto. Paintbox è una ballad deliziosa dalla morbidezza esecutiva che incanta. Tutti i musicisti si esprimono al meglio, ma è Barrett che prende per mano i nostri istinti più nascosti guidandoci in paradisi lontani, alimentando le nostre speranze di vita.
Dopo la breve ma non trascurabile The Pursuit of Excellence, spazio e tempo si dilatano quasi restando sospesi in una dimensione ignota dove il calore della pace riscalda ogni cosa. Le incisioni si fanno più complesse ma i toni restano tranquilli. Arrivano le perle di The Masquerade Overture: Guardian of My Soul con un saltellante Clive Nolan che apre a quello che è forse il brano più psicopatico dell’album, in cui si susseguono interrogativi e la tecnica inizia a farsi largo con orgoglio tra frasi orientali, arpeggi sognanti e tappeti ritmici curati nei dettagli. Con The Shadow le parole diventano sussurri in una sfera impenetrabile di dialoghi sinceri tra chitarre e tastiere. The Master of Illusion sembra risvegliarci da un meraviglioso sogno, ma solo per una metà. L’altra è come una brezza che accarezza dolcemente, un soffio di “gilmouriana” natura, che torna a sollevare i nostri piedi da terra ed al quale non possiamo resistere. Il tempo vola come le nostre anime. I Pendragon hanno fatto centro e lo hanno fatto con classe, con un album maturo nei contenuti e nella tecnica mai fine a sé stessa. The Masquerade Overture è un disco che rispecchia la fragilità dell’uomo con un significato che si apre a mille interpretazioni.
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